“E’ importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi.
Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti”. (don Puglisi)
Papa Francesco: “I mafiosi non possono fare questo”, “preghiamo che questi mafiosi e mafiose si convertano”. I mafiosi volevano sconfiggere don Puglisi perché “sottraeva” loro soprattutto i giovani, ma “in realtà è lui che ha vinto”.
«L’autentica fede in Cristo è incompatibile con qualunque appartenenza ad organizzazioni che avvelenano la società e la privano del suo futuro», aggiunge Mogavero, presente insieme a oltre 80mila fedeli al Foro italico di Palermo per la beatificazione di Padre Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio che sorrise anche di fronte ai killer della mafia che lo uccisero il 15 settembre 1993.
Sul Prato del Foro italico c’è un clima di festa serena, tantissime le famiglie presenti, centinaia i volontari provenienti da tutta Italia, scout e associazioni di quartiere. E poi ci sono tantissimi ragazzi che quando Don Pino era a Palermo non erano ancora nati. L’annuncio era stato dato il 28 giugno scorso: don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, nuovo Beato. Benedetto XVI aveva riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio, fu «martirio», commesso «in odio alla fede».
E Papa Francesco, appena lunedì scorso, durante la visita «ad limina» della Conferenza episcopale siciliana ha esortato la Chiesa locale a dare contro la mafia, una testimonianza più chiara e più evangelica. Nei quasi 20 anni che separano dall’assassinio di padre Pino, «la verità è infine emersa», ha a suo tempo spiegato il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, legando la verità del martirio di Puglisi a «quella giudiziaria, vergata con inchiostro indelebile dalla Cassazione» secondo cui «l’omicidio fu deciso dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per mettere a tacere un sacerdote scomodo, socialmente impegnato, che col suo ministero di pastore di anime, di formatore di coscienze cristiane, soprattutto di quelle dei fanciulli, li ridicolizzava sottraendo loro manovalanza, prestigio e potere, come del resto sprezzantemente li rimproverava uno dei capi indiscussi di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella».
Chi diede l’ordine di ucciderlo lo fece «non per eliminare un pericoloso nemico, alla stregua di magistrati, giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e della società civile, ma per cercare di fermare un luminoso testimone di fede». Puglisi «era persona tutta di un pezzo, agiva umilmente, con semplicità, senza cercare visibilità, antieroe: annunciava e proclamava l’Unico Necessario, il Padre Nostro». E fu proprio l’essere un uomo libero, «armato della sola forza della Parola, a costargli la vita», giustiziato dall’odio che i mafiosi nutrivano verso il suo modo di essere sacerdote. La sua figura riveste un ruolo di «grande importanza per la società civile, per la Chiesa universale, in particolare per la Chiesa palermitana e siciliana e per tutte quelle che si confrontano sul proprio territorio con le organizzazioni criminali, perché il suo sacrificio ha svelato il grande inganno della mafia, sedicente portatrice di religiosità. Il suo esempio è stato ed è così forte da aver attraversato il tempo: nei 19 anni trascorsi, Brancaccio, Palermo, la Sicilia, l’Italia, il mondo non lo hanno dimenticato».
«La mafia è intrinsecamente anticristiana», ha poi ribadito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato. Quello di don Puglisi, spiega, è stato un «martirio, perché è stato ucciso in odium fidei». «Ovviamente – ha sottolineato il cardinale salesiano – qui bisogna chiarire cosa significa in odium fidei, dal momento che la mafia viene descritta spesso come una realtà “religiosa”, una realtà i cui membri sembrano apparentemente molto devoti». Nel processo canonico, è stato approfondito questo aspetto «e abbiamo visto come, da una parte, abbiamo un’organizzazione che, più che “religiosa”, è essenzialmente “idolatrica”».Anche il paganesimo antico, ricorda Amato, era “religioso”, ma la sua religiosità era rivolta agli idoli. Nella mafia gli idoli sono il potere, il denaro e la prevaricazione. È quindi una società che, con un involucro pseudo religioso, veicola un’etica antievangelica, che va contro i dieci comandamenti e il Vangelo. La Scrittura dice: non uccidere, non dire falsa testimonianza. Nella ideologia mafiosa, invece, si fa esattamente l’opposto. Gesù ha detto di perdonare ai nemici e qui troviamo il contrario: la vendetta. Per la Chiesa Cattolica, dunque, «la mafia è intrinsecamente anticristiana». Per di più, l’odio verso don Puglisi era determinato «semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo». Dunque «sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita». Davanti a casi analoghi, altri vescovi, potranno ora decidere di seguire l’esempio dell’arcidiocesi di Palermo e introdurre cause di beatificazione per chi ha pagato con la vita il suo impegno per sottrarre i ragazzi alle cosche.
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