Il vento a Shanghai sta rapidamente cambiando, una città che fino a dieci anni fa era costituita quasi esclusivamente da Han, il gruppo etnico maggioritario in Cina che costituisce circa il 95% della popolazione, sta rapidamente riscoprendo la sua vocazione internazionalista, proprio come al principio del XX secolo, quando la “Parigi d’Oriente” vedeva le sue strade affollate di miliardari, avventurieri, furfanti, rifugiati e reietti occidentali che cercavano nella lontana Cina e nel porto misterioso di Shanghai la chiave delle loro fortune.
Oggi la componente umana di Shanghai si sta rapidamente diversificando per la valenza e plusvalenza economica ormai rappresentata dalla Cina e dalla sua capitale finanziaria: non sono più solo i manager europei e americani ad affaccendarsi nelle hall degli hotel per firmare vantaggiosi contratti o consumare un rapido drink, ma una nuova generazione di talentosi occidentali sta ricercando in queste strade, dove l’inglese si è ormai affermato comeo la lingua franca, una propria esperienza internazionale, designers che sognano la collaborazione con case di moda, ormai trasferitesi in massa a corteggiare i clienti del mercato cinese, architetti che possono testare le loro capacità con uno degli ambienti costruttivi più vibranti al mondo, studenti che apprendono il mandarino come una delle lingue chiave di un futuro che si fa sempre più presente, oppure semplici viveurs che sempre più numerosi stanno aggiungendo Shanghai fra le mete più glamour dei loro itinerari.
Ma vi è anche un’altra immigrazione,tutta interna alla Cina, che va a stratificare ulteriormente il complesso mosaico urbano, l’immigrazione degli altri 55 gruppi etnici cinesi che compongono quel 5% della popolazione rubacchiato agli Han, i xingjianesi uiguri con le loro pietanze speziate che vendono agli angoli della concessione francese, i miao del guizhou che fieri esibiscono i loro batik verdi e blu e i loro argenti, i tibetani che si raccolgono intorno ai templi lamaisti, gli hui musulmani della moschea dell’albero di pesco intenti a preparare zuppe di carne e i Dong, i zhuang, i bai, i mongoli robusti, una città che si fa caravanserraglio illuminata da un infinità di lingue e di sguardi.
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